- Introduzione: portatori di fiducia in un cammino sinodale
«La sinodalità non è il capitolo di un trattato di ecclesiologia, e tanto meno una moda, uno slogan o il nuovo termine da usare o strumentalizzare nei nostri incontri. No! La sinodalità esprime la natura della Chiesa, la sua forma, il suo stile, la sua missione» (Papa Francesco Roma, 18-IX-2021). Così papa Francesco descrive in uno dei suoi tanti interventi lo spirito del Sinodo, non nascondendo mai lo sforzo e l’impegno di tale cammino.
«Ci sono molte resistenze a superare l’immagine di una Chiesa rigidamente distinta tra capi e subalterni, tra chi insegna e chi deve imparare, dimenticando che a Dio piace ribaltare le posizioni: “Ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili” (Lc 1, 52), ha detto Maria”» (Papa Francesco Roma, 18-IX-2021). La fatica del cammino sinodale costituisce il primo dato interessante che in modalità antitrastica racconta sicuramente la necessità e l’urgenza di tale cammino. Costituiti syn-odoi, fratelli e sorelle, siamo stati chiamati ad accorgerci di questo imprescindibile legame che appare sopito sotto l’abitudinarietà delle nostre comunità. È un paradosso comune ovvero che le nostre realtà, almeno in superfice, siano state sollecitate, in maniera profetica, dal suono sordo del bastone di Mosè, che ha urtato una roccia solo apparentemente incapace di far passare lo zampillio della fonte. L’imperativo di “ascoltare, ascoltare, ascoltare”, risuonato nella Chiesa, ha trovato eco in un indispensabile deserto contrassegnato all’inizio da una normale fatica ma lì dove è stato avviato il lavoro ha generato stupore, parresia e infine gratitudine. Il cammino sinodale ci ha donato la consapevolezza di essere all’inizio. Sicuramente la fase della consultazione generale della Chiesa deve proseguire proprio per preparare nella preghiera e per seguire con maggiore interesse i prossimi lavori del sinodo nell’ottobre del 2023.
L’esperienza sinodale ha illuminato tutto il cammino pastorale della Diocesi, la cui apertura dello scorso 11 settembre 2021 era stata già segnata dall’invito dell’Arcivescovo a “Prendere coscienza della fedeltà di Dio”, per condividere questa leale verifica sempre “Fiduciosi nella fedeltà di Dio” e poter riscoprire tutta la bellezza di ritrovarsi finalmente “Insieme nel cammino di fiducia”. Il coinvolgimento dell’intera realtà diocesana, come accaduto negli anni non pandemici con il Pellegrinaggio a San Giovanni Rotondo di tutta la Diocesi (partecipato da 5/6 mila fedeli) ogni secondo sabato del mese di Settembre, è proseguito quest’anno con altri importanti segni di comunione ecclesiale: la celebrazione di apertura ufficiale del Sinodo attraverso la Liturgia della Parola del 17 ottobre 2021; l’Assemblea Diocesana del 26 novembre 2021, dedicata alla presentazione del Sinodo; la 49ma Settimana Sociale dei Cattolici Italiani (“Il Pianeta che speriamo. Ambiente, Lavoro e Futuro #tuttoèconnesso” – 21/24.10.2021) e la 50ma Settimana della Fede (“Il cammino sinodale nella cinquantesima settimana della Fede” – 14/18.03.2022). Non ultima, anche la ripresa dei Riti della Settimana Santa, dopo la interruzione per la pandemia, è stata vissuta ponendo al centro della forza evangelizzatrice della Pietà Popolare (EG 124) il pellegrinaggio della Chiesa al cospetto del Mistero di Cristo, “mendicante del cuore dell’uomo” [1].
La prova sul campo ha però fatto registrare alcune fragilità, che meritano attenzione perché segnalano comunque il sintomo di una tendenza al “fare da sé”, difficile da estirpare. Da un punto di vista strettamente statistico, infatti, il riscontro numerico delle sintesi pervenute non corrisponde alla totalità di quelle attese. Per contro, da un punto di vista esperienziale, le comunità che hanno aderito alla provocazione dello Spirito hanno vissuto e documentato i frutti generosi del loro coinvolgimento, anche negli ambiti giovanili. Oltre alle singole Parrocchie e alle Vicarie, sono stati comunque coinvolti tutte gli Uffici e gli Organismi diocesani e di Curia, chiamati a condividere le consultazioni con i rispettivi Ambienti Laici di missione.
La iniziale resistenza, soprattutto da parte di alcuni presbiteri, ad accogliere con generosità questo nuovo percorso di consultazione è stata provocata dall’invito a vivere la pastorale in chiave missionaria, che esige di abbandonare il comodo criterio del “si è sempre fatto così” (EG 33) o “tanto non cambierà nulla”. L’entusiasmo per la possibilità di risentire, dopo due anni di prova e di fatica per lo stato di emergenza, il profumo del discernimento pastorale a diretto contatto con il gregge ha quindi rimesso in marcia la nostra Chiesa diocesana affinché sia sempre più Locanda della Speranza, Oasi di Misericordia e Casa ospitale per tutti.
Chi ha accolto con ardore l’invito della Chiesa universale ad incontrarsi per condividere un metodo, ha vissuto questo cammino aprendosi anche ai più lontani, ed ha potuto sperimentare la prossimità in Cristo proprio attraverso l’ascolto dell’altro (EG 171). Mentre i credenti hanno riscoperto la propria consacrazione battesimale, i più “distanti” hanno comunque aperto il loro cuore alla provocazione della proposta, giungendo perfino ad affermare che “l’essere chiamati a riflettere su queste domande ha cambiato la percezione di parole come Chiesa e Sinodo, rendendole praticabili ed interessanti”. Occorre comunque con onestà registrare che tra il Popolo di Dio, coloro che hanno aderito convintamente e si sono impegnati nei circoli sinodali, nella stragrande maggioranza sono i laici già impegnati nel percorso di fede e nella pastorale. Molti di quelli che pur regolarmente la celebrazione eucaristica domenicale, non sempre si sono lasciati provocare personalmente dalla possibilità di esprimersi e di essere ascoltati.
Il cammino sinodale è stato molto apprezzato anche da alcuni rappresentanti del Mondo istituzionale coinvolti in questo pezzo di strada, soprattutto per la proposta di conversione ad esso sottesa. Secondo le loro testimonianze ciò ha reso evidente come Cristo si renda riconoscibile e sperimentabile attraverso la Chiesa, che ne è segno permanente nella Storia. Cosicché le occasioni di incontro tra esistenze umane e professionali diverse, ma parimenti impegnate nel reale, hanno espresso tutta l’attrattiva dell’esperienza cristiana: si è infatti spesso accesa la curiosità per coloro che, pur di fronte al malessere sociale e alle medesime “sfide delle culture urbane” (EG 71), vivono con letizia e positività la provocazione della realtà alla luce dell’incontro con Cristo.
La rilettura dell’esperienza sinodale documenta tutta la sfida alla capacità della Chiesa di porsi in ascolto della nostra Comunità ferita e così desiderosa di guarigione, umana prima che ambientale, perché “amiamo questo pianeta dove Dio ci ha posto, e amiamo l’umanità che lo abita” (EG 183).
- I contenuti dell’ascolto: le 3 tappe del discernimento
Le consultazioni hanno seguito la scansione indicata dalla Equipe diocesana all’uopo incaricata; pertanto i 10 nuclei tematici proposti dal Documento Preparatorio e dal Vademecum per il Sinodo sono stati raggruppati (con un diverso ordine) in tre “tappe”, scandite dall’approfondimento dei seguenti punti:
- Prima Tappa
Stato di fatto. Reale situazione dei luoghi ordinari ed esistenti di sinodalità
(I. Compagni di viaggio; VIII. Autorità e partecipazione; IX. Discernere e decidere)
- Seconda Tappa
Dentro e Fuori. Dialogo nella Chiesa e di essa con l’esterno. “Dentro” e “”Fuori” come si recepiscono reciprocamente
(II. Ascoltare; III. Prendere la parola; VI. Dialogare nella Chiesa e nella società; VII. Dialogare con le altre confessioni cristiane)
- Terza Tappa
Conversione Sinodale
(IV. Celebrare; V. Corresponsabilità nella missione; X. Formarsi alla sinodalità)
Di seguito verranno così compendiati, per affinità argomentativa, i passaggi salienti emersi durante tale percorso di ascolto.
Prima Tappa
- I) I COMPAGNI DI VIAGGIO
“Nella Chiesa e nella società siamo sulla stessa strada fianco a fianco”.
La consultazione ha evidenziato un punto centrale: la Chiesa tradisce la sua missione quando è chiusa in sé stessa e non si gioca fino in fondo nell’incontro con l’altro.
Questo rimanda evidentemente alla centralità dell’autocoscienza ecclesiale. La sua maturazione è certamente aiutata dai cammini educativi vissuti nell’esperienza dei Movimenti ecclesiali, nelle Associazioni laicali (Gruppi adulti e Giovanili), nelle Confraternite, nei Gruppi di Preghiera e in tutte quelle realtà che offrono concrete esperienze comunionali, attraverso cui l’amicizia umana diventa compagnia “vocazionale” in Cristo. Diversamente è denunciato, dagli stessi sacerdoti, il concretizzarsi del rischio di clericalismo, in cui prevale l’adesione ad un gruppo “che realizza iniziative”, trascurando l’essere una nuova creazione: compagni di viaggio, ma comunque ognuno con mezzo proprio!
L’appartenenza alla Chiesa particolare è tuttavia indicata, nelle testimonianze dei più, come una possibilità concreta per tutti coloro che, mossi da una attrattiva umana, lo desiderino. Colpisce, in proposito, la testimonianza di un’ex alcoolista che racconta di essere stata salvata, accolta e amata da Gesù; riconoscendo di essere come rinata e accompagnata in un cammino decisivo per la sua vita, nonostante la dolorosa impossibilità di accostarsi ai Sacramenti.
I giovani che partecipano alla vita della Chiesa ne sono totalmente coinvolti e ne affermano una dimensione “familiare”; ma sono anche convinti che molti loro coetanei siano stati invece dissuasi dal formalismo delle proposte in cui si sono imbattuti da piccoli, poco attente al bisogno di essere amati e al corrispondente desiderio di mettersi in gioco.
Nei gruppi di ascolto territoriale non sono mancate le voci più critiche. L’estraneità alla Chiesa è motivata dai suoi peccati (soprattutto gli scandali della pedofilia e della corruzione) e dalle “discriminazioni” che taluni (in particolare separati, divorziati, omosessuali, ma anche più raramente stranieri, fragili, soli e perfino donne vedove) lamentano di aver subito. Nel mondo delle professioni è anche documentato un crescente laicismo che stigmatizza principalmente la contro-testimonianza dei credenti palesemente “infedeli”. In tal caso emerge tutta la lontananza di fasce sempre più ampie di popolazione, che avvertono un forte pregiudizio nei confronti degli apparati ecclesiali e che, al più, incrociano la Chiesa solo occasionalmente per accostarsi ai Sacramenti; peraltro sempre meno vissuti come un segno della presenza di Cristo.
È tuttavia dalle realtà periferiche e socialmente disgregate che si solleva il richiamo più forte da chi attende che qualcuno si faccia prossimo: per essere compagni di viaggio, bisogna uscire e andare incontro; e questo non sempre accade e nemmeno c’è sempre la consapevolezza che ad attrarre in fondo è Cristo, sicché “spesso presentiamo noi senza Cristo, invece di presentare Cristo al di là di noi”. Da quelle comunità contrassegnate da una forte emergenza sociale, sorge l’esigenza di un maggiore ascolto per una pastorale lungimirante che non si esaurisca nell’offerta di servizi di supplenza ma che caratterizzi ancor più l’azione evangelizzatrice ovvero il Servizio dell’Annuncio che non prescinda mai dall’aiuto immediato nelle situazioni variegate di bisogno. Tali realtà sentono talvolta l’isolamento dal resto del tessuto ecclesiale.
VIII) AUTORITÀ E PARTECIPAZIONE
“Una Chiesa sinodale è una Chiesa partecipativa e corresponsabile”.
Anche su questo punto è emerso che solo l’incontro autentico con Cristo anima un cammino fecondo insieme agli altri, perché consente di abbandonare il proprio individualismo e favorisce il superamento della tentazione della autoreferenzialità. Così la condivisione delle esperienze, attraverso la sequela di una guida riconosciuta come autorevole perché certa di Cristo – sia essa quella del Vescovo come dei Parroci-pastori – diviene occasione di fraternità vissuta. Nelle dinamiche di comunità, in particolare in quelle più piccole e meno partecipate, emerge però anche il forte rischio della mera “accondiscendenza” alla autorità, che spegne ogni entusiasmo ed amplifica i limiti, in tal caso percepiti solo come un ostacolo.
È comunque riconosciuta l’esistenza significativa degli Organismi ecclesiali di partecipazione, di cui si avverte tutta la potenzialità al pari dello svilimento operativo di tali strumenti, spesso poco partecipati. Si lamenta al riguardo la adesione passiva e spesso inconsapevole agli incontri, talvolta vissuti come ratifica di decisioni già prese; così come si censura la scarsa conoscenza tra gli stessi membri ovvero la caduta di reale motivazione, a fronte di incarichi di fatto permanenti. Per questo è avvertita tutta l’urgenza di una rivitalizzazione profonda degli organismi esistenti, anche attraverso l’innesto di forze nuove e più motivate.
Dalle consultazioni parrocchiali ed inter-vicariali è altresì emersa la domanda di un pieno coinvolgimento laicale, ad ogni livello decisionale; così come è auspicata una maggiore responsabilizzazione delle Comunità già nella fase di progettazione delle linee di pastorale diocesana.
La dimensione della Autorità non è comunque generalmente vissuta come frustrante, perché è riconosciuto all’opera un metodo educativo che responsabilizza ciascuno. Ciò non elimina la fatica dell’obbedienza ma ne esalta comunque la missionarietà, in quanto la (cor)responsabilità è colta innanzitutto nel rispondere a Qualcuno che ti chiama. Dove questa dinamica è sperimentabile, perfino la pandemia ha potuto stimolare opportunità di incontro e condivisione, sia pure a distanza attraverso il crescente utilizzo delle nuove tecnologie. Ciò ha favorito un “contagio” positivo anche tra le diverse generazioni. In tale frangente, l’evidenza del bisogno comune ha altresì animato una maggiore disponibilità a superare le divisioni interne, pur esistenti, favorendo un approccio più autenticamente sinodale nei diversi ambiti. La paura, tuttavia, permane e l’impatto più frustrante sembra essere quello di una certa disaffezione alla Messa in presenza, soprattutto da parte dei bambini, delle loro famiglie e dei giovani. Le incertezze dei tempi rinnovano nei più l’esigenza di stringersi nella Comunità; da qui la proposta incalzante di intensificare, a maggior ragione, le occasioni di incontro per rafforzare i rapporti umani.
IX) DISCERNERE E DECIDERE
“In uno stile sinodale si decide per discernimento, sulla base di un consenso che scaturisce dalla comune obbedienza allo Spirito”.
Le consultazioni hanno evidenziato una certa difficoltà nel confrontarsi con il termine “discernimento” e con l’esperienza che esso richiama. Alcuni giungono perfino a ritenere che “affidarsi «troppo» allo Spirito Santo diventi spesso un alibi per deresponsabilizzarci dalla pratica coerente delle nostra fede”. La proposta di un cammino, sia pur sinodale, interroga sempre sul punto di partenza, sul percorso e sulla meta. In ragione di tanto qualcuno, criticamente, solleva anche la provocazione per cui le domande della consultazione in atto sembrino piuttosto formulate in modo da ottenere delle risposte attese.
Per richiamare i “tre attori” del Documento Preparatorio, colpisce molto, tra le diverse posizioni che censurano il mancato coinvolgimento dei laici sulle questioni più rilevanti della vita della Chiesa, la voce tranciante di un coraggioso aconfessionale appartenente alla “Folla” che, affascinato da “Cristo” ma scettico sugli “Apostoli”, descrive la sfida del Sinodo come “l’ultimo giro di giostra” per una Chiesa che può finalmente operare un profondo discernimento sulla propria dimensione esistenziale e missionaria.
Dalle storie personali risulta però evidente come il discernimento dello Spirito sia, non l’ultima, quanto “l’unica carta” per la Chiesa. Il discernimento infatti, già sperimentato nelle esperienze di catechesi comunitaria, è riconosciuto come decisivo perché aiuta ad abbandonare le proprie convinzioni e favorisce la conversione mediante la sequela a Cristo. In tale chiave, si valorizzano due dimensioni: quella personale (perché la vita di ciascuno sia accompagnata in tale continua tensione al cambiamento) e quella comunitaria (affinché le decisioni della Chiesa siano condivise purché illuminate dallo Spirito). È allora emblematica la testimonianza di una persona impegnata nelle istituzioni cittadine che, proprio in quanto accompagnata dalla Chiesa in un cammino profondamente umano, è giunta a rinunciare alle esasperazioni della fecondazione assistita per orientare altrove la propria generatività; fino a sperimentare il miracolo di un concepimento ritenuto biologicamente impossibile.
Seconda Tappa
- II) ASCOLTARE
L’ascolto è il primo passo, ma richiede di avere mente e cuore aperti, senza pregiudizi
L’attenzione è subito posta sul senso dell’«ascolto», che non può essere ridotto alla mera disponibilità al «sentire». Le tematiche affrontate con la seconda tappa hanno quindi evidenziato l’urgenza della “relazione” anche in ogni dinamica di “ascolto”: il bisogno immediato di cui l’altro è portatore (che talora si scontra con il nostro pregiudizio) si rivela, il più delle volte, come la domanda inespressa di un incontro autenticamente umano. È questa un’esperienza riscontrata in ogni ambito, anche di Vita Consacrata, tanto nei consueti servizi parrocchiali quanto nelle diverse attività oratoriali e di carità. Cosicché, pur nella semplicità dei gesti (una telefonata a chi è solo; la consegna di un pacco ai bisognosi; la fedeltà agli incontri con i più giovani, così desiderosi di esprimere il loro disagio), è riconoscibile – e riconosciuta – l’attenzione alla vita dell’altro.
Quasi come una provocazione, emerge tutta l’incapacità di fare – prima – silenzio. Non mancano le critiche agli atteggiamenti moralistici o settari che allontanano chi è portatore di ferite esistenziali e non vuole certo essere giudicato o inquadrato in schemi di preconcetto, ma chiede solo di essere accolto ed accompagnato. Dalle realtà più complicate di periferia si leva un monito: l’ascolto non si improvvisa, soprattutto per cogliere i segnali di disagio dalla voce dei più fragili.
I laici, in particolare, lamentano di non essere davvero “ascoltati” nell’ambito degli Organismi consultivi, riportando il profilo di alcuni religiosi talvolta perfino supponenti e refrattari alle voci più scomode. È quindi emersa la consapevolezza di un debito di ascolto che ancora esiste nei confronti dei più emarginati, a dispetto di una pastorale e di una esperienza caritativa pur ben orientate all’attenzione verso i poveri. Si lamenta anche una certa distanza nei confronti delle donne e dei giovani; questi ultimi del tutto assenti in alcune realtà parrocchiali. I “Centri di ascolto”, pur diffusamente presenti ed apprezzati, non riescono però a tradurre il proprio impegno in azioni di stabile accompagnamento esistenziale.
In una testimonianza emblematica è stato documentato il “paradosso del Presepe”: così, quando un quindicenne diversabile ha chiesto di poter incontrare il parroco ed i suoi educatori per condividere le difficoltà dell’emarginazione, vissuta anche in ambito ecclesiale, non ha trovato nessuno disposto a farsi carico di quel bisogno, perché tutti erano impegnati nell’allestimento del Presepe. Questa stessa dinamica è stata riportata anche dagli infermi, che chiedono prima di tutto un rapporto umano con i Ministri Straordinari della Santa Comunione.
È quindi amaramente attestata la preoccupazione di dispensare sacramenti e creare eventi – verrebbe da dire – “di cartapesta”, piuttosto che di testimoniare la presenza di Cristo attraverso una compagnia “di carne umana” nelle circostanze della vita.
III) PRENDERE LA PAROLA
Tutti sono invitati a parlare con coraggio e parresia, cioè integrando libertà, verità e carità.
Colpisce l’intervento di una ragazzina un una parrocchia di periferia, che ammonisce: “bisogna prima capire quanto ci viene richiesto, per poter rispondere opportunamente”. Per fare questo, si sottolinea, bisogna anche “fermarsi con l’altro per riguadagnare la dimensione della relazione umana”.
La partecipazione, quindi l’esserci con la piena consapevolezza della propria identità originata dal battesimo, si dimostra l’unica modalità credibile per prendere la parola con autorevolezza. Tale certezza consente di condividere, con carità ma senza ambiguità, le ragioni profonde di alcune posizioni giudicate da molti “anacronistiche” e “divisive” (come, ad esempio, talune preclusioni in ambito sacramentale).
Diversamente le interlocuzioni con la società sembrano, ad alcuni, più dettate da equilibrismi politici. I maggiormente critici, appartenenti anche al Mondo Istituzionale, riportano l’impatto di un percepito smarrimento della missione ed invocano il ritorno tangibile al cuore del “Discorso della Montagna”, ritenuto fonte di indiscussa autorevolezza e chiave di autentico dialogo con tutti gli ambiti sociali, orfani di testimoni credibili. Sebbene isolate, si levano anche voci disorientate dal Pontificato, per lo più per posizioni giudicate “politiche”; e non mancano nemmeno riserve per lo status del Papa Emerito, che in alcuni alimenta confusione se addirittura non sfiducia. La persona di Papa Francesco è comunque diffusamente stimata come indubbia autorità morale, molto apprezzata anche per la sensibilità manifestata proprio con l’avvio dello stesso Sinodo.
L’attrattiva delle testimonianze originate da una fede vissuta e totalmente implicata nella realtà consente, in definitiva, di prendere la parola in ogni ambito, per unire ed educare. Per questo il laicato cattolico è chiamato ad un compito di responsabilità, per recuperare la propria identità e rendere più schietto ed efficace il dialogo, franco e coraggioso, con tutti. Il movimento avviato dal Sinodo sembra poter rilanciare tale impegno, in considerazione del riscontro prevalentemente positivo di coloro che hanno accolto l’invito a partecipare alle consultazioni più “aperte”. Per questo si rimarca come la responsabilità della missione non coinvolga solo i presbiteri ma l’intera Comunità dei battezzati, chiamati a testimoniare la Speranza piuttosto che a proporre soluzioni di stampo sociologico.
- VI) DIALOGARE NELLA CHIESA E NELLA SOCIETÀ
Il dialogo è un cammino di perseveranza, che comprende anche silenzi e sofferenze, ma capace di raccogliere l’esperienza delle persone e dei popoli.
Le esperienze personali documentano una difficoltà a costruire un vero dialogo, perché è forte la tendenza al “già saputo” e a dare per scontato quello che l’altro ha da comunicarci; soprattutto, quello che il Mistero ci sussurra attraverso il suo volto. Per questo colpisce molto la testimonianza emersa nel comparto sanitario, in cui si valorizza principalmente il silenzio, quale primo modo di aprire il cuore dei più fragili e chiusi in difesa.
Attraverso le tante testimonianze delle persone ascoltate nei diversi ambiti, emerge come sia soprattutto l’impegno personale nella caritativa ad educare al dialogo e a renderlo possibile. Spicca per intensità del coinvolgimento personale dei volontari con le persone incontrate, l’esperienza nel Centro notturno per i senza fissa dimora “San Cataldo”, che è vissuta come una palestra di sinodalità, nonostante le difficoltà operative riscontrate durante il tempo delle restrizioni dovute all’emergenza pandemica. Tra le altre, oltre ai Centri Caritas, sono citate come molto significative le esperienze di accompagnamento dei disoccupati da parte del Centro di Solidarietà, dei bambini in difficoltà da parte dell’Aiuto allo Studio, e trasversalmente quella del Banco Alimentare, riconosciuto attore di prossimità anche nei contesti più difficili e capace di attrarre la collaborazione di Enti, Associazioni e singoli volontari.
Restano però ancora tante le voci dimenticate, per l’incomunicabilità che spesso segna i rapporti tra i vari enti territoriali, religiosi e laici, che dovrebbero interagire meglio nella cura dei bisogni, facendosene comune carico. La crisi delle relazioni familiari e l’emergenza educativa, poste al centro dell’impegno missionario anche nella vita delle Scuole paritarie di matrice cattolica, richiedono in particolare una convergenza di intenti ed interventi, che non sempre trova piena corrispondenza nei diversi ambiti istituzionali e sociali. Così, anche le grandi potenzialità di alcune agenzie o strutture culturali di chiara ispirazione cristiana hanno vissuto la frustrazione di una scarsa affezione a proposte, forse meno “social”, ma certamente più umane.
Il dialogo in ultima istanza rimane necessario nel mondo in cui la Chiesa si trova a vivere non solo perché vi siano margini di incomunicabilità ma anche per prendere consapevolezza da parte della Chiesa stessa di un processo di irrilevanza della fede cristiana se rimane confinata all’interno dei propri ambienti. L’autoreferenzialità e l’autosufficienza della comunità cristiana, che non pratica l’uscita, perde la sapidità del sale della terra e la brillantezza della luce del mondo.
VII) CON LE ALTRE CONFESSIONI CRISTIANE
Il dialogo tra cristiani di diversa confessione, uniti da un solo battesimo, ha un posto particolare nel cammino sinodale.
Le consultazioni hanno purtroppo dimostrato come, al di là delle provate sensibilità delle Commissioni teologiche, permangano sul campo diffidenze nelle relazioni ecumeniche, ancora viziate da visioni preconciliari che certo non aiutano i fedeli a maturare una diffusa coscienza dell’impegno ecumenico di ciascun battezzato.
Nel racconto dei docenti e delle famiglie coinvolte, la Scuola resta invece l’avamposto privilegiato ed irrinunciabile, perché l’occasione dell’incontro è reale: perfino ortodossi e musulmani hanno poi optato per l’ora di religione perché il rapporto con i bambini semplifica il superamento delle barriere. Questo dimostra che i limiti di conoscenza e di relazione con le altre confessioni si superano nel rapporto diretto tra le persone.
In effetti anche gli incontri interreligiosi di preghiera sono stati l’occasione per sperimentare la bellezza dell’apertura (riconosciuta dai partecipanti come una specificità cattolica). In tale prospettiva, il dialogo avviato in Diocesi sul tema del Creato, centrale nel dibattito cittadino, ha segnato un’esperienza molto positiva. Il mondo protestante presente, anzi, ha riconosciuto un certo coraggio nell’aprirsi al confronto totale, senza pregiudizi o complessi. L’invito rivolto a tutte le confessioni, anche non cristiane, ha documentato apprezzati riscontri dal mondo ebraico mentre permangono più difficoltà con quello islamico. Anche il tema della bioetica è stato un terreno di dialogo molto proficuo con la Comunità Valdese. Restano però la sporadicità degli eventi e una scarsa conoscenza reciproca su ampia scala, sebbene in alcune realtà della Provincia, dove la conoscenza personale è facilita dalla prossimità fisica, si sono già avviati concreti processi di interscambio e collaborazione.
Il mettersi in ascolto dell’altro si dimostra non essere solo una questione di metodo, perché è piuttosto un connotato della natura umana. Dio stesso entra in relazione con il suo Popolo chiedendo che Israele lo ascolti (“Shemà Israel” Dt 6,4-9). Se non ascoltiamo Dio, non ascoltiamo nemmeno noi stessi. Pertanto, l’educazione all’ascolto è un invito a vivere autenticamente la propria consistenza umana, attraverso una verifica continua nei volti che incontriamo, credenti (di ogni fede) e non. L’episodico rapporto con le altre confessioni religiose (cristiane e non), talvolta addirittura sconosciute, dimostra tutta la resistenza nei confronti di chi sentiamo comunque diverso da noi. Nelle testimonianze di quanti hanno invece condiviso delicati passaggi esistenziali con i fratelli di altri credi è documentato come le ferite della vita si dimostrino sempre il terreno reale di incontro umano, in cui le esigenze insopprimibili del cuore si riconoscono nella loro eterna radicalità. Un dialogo auspicato, ma che si dimostra quindi possibile e ragionevole solo partendo da una chiara coscienza di sé e riconoscendo ciò che si ha strutturalmente in comune con l’altro.
Terza Tappa
- IV) CELEBRARE
“Camminare insieme” per la Chiesa è possibile solo se si fonda sull’ascolto comunitario della Parola e sulla celebrazione dell’Eucaristia
Le tante testimonianze raccolte anche in ambienti laici, dimostrano come l’esperienza di fede vissuta in contesti comunionali, conduca più facilmente a riconoscere attraverso il carisma incontrato l’evidenza del cammino educativo che la Chiesa propone con la liturgia. La presenza sperimentabile del Mistero nei segni sacramentali, diviene così balsamo irrinunciabile per la condivisione delle ferite esistenziali e motiva l’impegno di una dimensione liturgica vissuta come paradigma di vita, in cui l’umanità è resa consapevole dell’adorazione a Dio, come supremo suo significato, e del lavoro personale, come aiuto ad entrare nella totalità della realtà. Così, le stesse Comunità che hanno risposto con entusiasmo alla proposta del Cammino sinodale documentano altresì una particolare attenzione alla liturgia ed un impegno nella cura condivisa dei canti come nella costante catechesi, che coinvolge i bambini, le loro famiglie e quanti scoprono l’urgenza di un continuo paragone con la realtà.
I più lontani si dividono, invece, tra coloro che non conoscono il significato della liturgia e ne sono anzi refrattari e quelli che, diversamente, pur mantenendo un rapporto episodico e voluttuario con le celebrazioni, avvertono l’urto della provocazione alla loro libertà che è così stimolata all’incontro.
Il tempo dell’emergenza pandemica ha però svelato per tutti una grave fragilità nelle fondamenta stesse della missione: per cui la presenza di fronte al Mistero sacramentale continua ad essere irresponsabilmente surrogata dal videocollegamento in remoto.
Un poderoso impegno di catechesi mistagogica potrebbe essere uno strumento valido affinché la celebrazione diventi realmente luogo educativo alla fede e nella fede: in modo specifico le interazioni ministeriali, che sono la forma unica di una corretta celebrabilità, possono divenire il paradigma ecclesiologica per una concreta sinodalità diffusa.
V) CORRESPONSABILI NELLA MISSIONE
La sinodalità è a servizio della missione della Chiesa, a cui tutti i suoi membri sono chiamati a partecipare.
C’è concordia diffusa nell’affermare che, per poter essere in missione, bisogna prima vivere la comunione tra cristiani. E perché ciò accada è fondamentale che ognuno abbandoni la logica individualistica dell’autoreferenzialità, per entrare nella logica comunitaria. È interessante il richiamo alle prime esperienze cristiane, quando le piccole comunità si riunivano nelle case; i partecipanti alle celebrazioni della Parola e della Eucarestia si conoscevano tra di loro, sapevano gioie e dolori l’uno dell’altro, ridevano con chi stava nella gioia e piangevano con chi stava nel dolore. Solo nelle grandi occasioni le piccole comunità si riunivano per celebrare insieme e ciò motivò la fondazione delle primi luoghi di culto. Oggi, invece, sembra essersi smarrita la dimensione familiare dell’esperienza comunitaria che genera ed educa alla condivisione del giudizio esperienziale.
La corresponsabilità della Missione attiene innanzitutto alla fede ed ha alla base la decisione personale di partecipare alla Chiesa. La vera area di missione da rafforzare sembra allora, quasi paradossalmente, il lavoro sulla consapevolezza dell’origine: ciò che, per molti, si sta trascurando è proprio l’essere di Cristo.
Siamo quindi chiamati alla responsabilità di testimoniare cosa ci sostiene nel posto in cui siamo qui e nelle circostanze che viviamo ora: tutto muove dal cuore dell’esperienza cristiana, che invece rischia di soffocare sotto il ricatto dell’esito di ciò che facciamo o dell’emergenza del momento. Si invoca pertanto una maggiore maturità missionaria, capace di fedeltà al proprio impegno e meno affidata alla estemporaneità dell’onda emotiva, che rischia di limitarsi a (pur apprezzabili) “fiammate di solidarietà”, che però non approfondiscono, attraverso un metodo educativo di sé, il proprio rapporto con il Mistero che compie tutte le cose.
X) FORMARSI ALLA SINODALITÀ
La spiritualità del camminare insieme è chiamata a diventare principio educativo per la formazione della persona umana e del cristiano, delle famiglie e delle comunità.
Dalle tante documentazioni di esperienze positive, soprattutto nelle parrocchie che vivono l’apertura ad iniziative del mondo laico e la compresenza di più comunità o perfino di ordini religiosi, emerge come la sinodalità nasca e si sviluppi attraverso la condivisione e l’approfondimento di esperienze concrete di “lavoro” comune. Pertanto si invocano a gran voce incontri tra le varie realtà per sapere come soffia lo Spirito sugli altri gruppi. In alcuni casi, invece, sembra addirittura affermarsi una competizione di iniziative, delle quali talvolta non si condividono nemmeno le informazioni basiche.
Alcuni lamentano la difficoltà di inserirsi dall’esterno in dinamiche strettamente parrocchiali e altri, pur presenti nella vita della Comunità, auspicano una maggiore considerazione delle posizioni di minoranza all’interno degli Organismi consultivi, dove la pur indiscussa possibilità di partecipare non equivale sempre alla effettiva rilevanza. Dagli ascolti dei tanti laici impegnati nel Mondo delle Istituzioni e del Lavoro è altresì emerso uno sguardo critico su una certa dimensione “correntizia” della Chiesa, da cui non emergerebbe un reale impegno a vivere una autentica sinodalità.
Tutti invocano una migliore formazione in tal senso, da non confondere con inutili appesantimenti dottrinari. Dalle testimonianze emerge infatti la incomparabile bellezza delle esperienze di educazione alla sinodalità vissute sul campo. Il grande impegno nel coordinamento dei volontari in occasione della 49ma Settimana Sociale dei Cattolici Italiani ha infatti dimostrato la ricchezza dei frutti generati dalla responsabilità condivisa con tutti i movimenti della Diocesi. Emblematico è anche l’esempio riportato dal Centro Volontari della Sofferenza che, attraverso la promozione degli incontri tra le persone disabili assistite ed i giovani seminaristi, ha documentato tutte le potenzialità di crescita umana, sperimentabili attraverso una positiva “contaminazione” sociale della Comunità.
Perché si acquisti, maturi e si consolidi un’autentica disponibilità sinodale, sembra però non esserci davvero alternativa all’opera dello Spirito Santo. Le omissioni ci accusano e, tra tutte, quella di rendere ragione della nostra fede anche nella Terza Persona della Santissima Trinità. Per questo i gruppi sinodali documentano la necessità di una evangelizzazione post-battesimale per tutti.
È interessante la conclusione di una sintesi Parrocchiale che, con molta umiltà, afferma: dalla “consultazione non sono emerse grandi linee prospettive per il futuro (…) Le nostre carenze a livello di esperienza di Chiesa sono spesso riferibili ad una fede vissuta più sull’onda della tradizione e del primato di uno spiritualismo che facilita l’intimismo e la consolazione emotiva e mortifica una coscienza di fede riflessa e capace di assumersi le responsabilità legate alla propria vocazione”. Ne condividiamo qui, il punto di approdo: “Valga per tutti la consapevolezza di essere come Chiesa, in un tempo così fortemente segnato dall’individualismo, un segno profetico per la dimensione comunionale e ministeriale che ci caratterizza. Che sia proprio questa la missione a cui il Signore ci chiama?”
Adsumus, Sancte Spiritus
Conclusioni: l’impronta dello Spirito sui prossimi passi
Il frutto più vivo di questa esperienza sinodale è la verifica sul campo del metodo scelto da Dio: videro e credettero. Il farsi carne in un incontro umano, resta l’unica dinamica attrattiva capace di guardare al bisogno più profondo dell’altro. Solo la proposta di felicità, testimoniata attraverso un’esperienza vissuta e giudicata attraverso un chiaro metodo educativo, può edificare la Chiesa come dimora dell’umano. Così essa è percepita come compagna di viaggio, anche nelle situazioni più difficili, dai tanti (ragazzi, famiglie, emarginati) che ancora si sentono, per grazia di Dio, accolti, ascoltati ed accompagnati.
Lo Spirito sembra dirci: “è bella la strada per chi cammina; è ancora più bella per chi la percorre con veri amici con i quali riguardare in profondità sé stesso e riconoscere che il punto centrale, per la Chiesa e per ciascuno, rimane sapere chi siamo e a Chi apparteniamo!”
Per riprendere il tema dell’introduzione, il cuore dell’uomo continua ad essere “mendicante di Cristo”, esprimendo il bisogno di essere amato con Misericordia, così com’è.
Quando il viandante “percosso” dagli urti della vita trova chi trasforma le sue ferite in feritoie, attraverso cui può finalmente passare la luce di Dio, riconosce nella Chiesa e nei suoi testimoni il segno della presenza continua di Cristo mendicante nella Storia, capace di incidere anche nella propria vicenda umana. Diversamente fugge, amareggiato e tradito, trovando altrove un riparo qualsiasi, sia pur di fortuna.
All’esito degli ascolti, il rapporto con la Chiesa risulta allora ambivalente: pieno e soddisfacente in chi sperimenta una fede viva e vitale, soprattutto attraverso i cammini educativi proposti dalle esperienze carismatiche; fortemente critico in chi, invece, è o si sente estraneo alla comunità ecclesiale.
Esistono certamente dei limiti, anche gravi, e sono comunque riconosciuti da tutti; ma giudicati con più comprensione in chi avverte la corresponsabilità della missione.
Prevale, in conclusione, la domanda di più coinvolgimento, tanto dei laici quanto dei religiosi, nelle dinamiche decisionali, di minore formalismo e di maggiori aperture, anche comunicative: per comprendere e comunicare meglio.
Per questo la richiesta è di ospitare, nei luoghi e nei cuori, più alterità e favorire gli incontri tra le diversità.
[1] Cfr. Don Luigi Giussani, Testimonianza durante l’incontro del Santo Padre Giovanni Paolo II con i movimenti ecclesiali e le nuove comunità, P.zza San Pietro, Roma, 30 maggio 1998.