10 giugno 2023

Conclusione della fase narrativa
II anno

A cura della Equipe diocesana

  • PREMESSA

A conclusione della fase narrativa del cammino sinodale, non può non condividersi l’invito ad avere “grande fiducia nell’opera che lo Spirito Santo va realizzando”, espresso dal Santo Padre Francesco nel discorso tenuto il 25 maggio u.s. in occasione dell’incontro con i referenti diocesani.

Il processo avviato in Diocesi, in piena adesione alla chiamata per la Chiesa universale, non è immune dal rischio di ridurne la portata trascurando il vero Protagonista. Il monito postumo di Benedetto XVI sulle insidie di una Chiesa intesa in chiave politica è del resto di grande attualità; per cui occorre sempre ripartire con umiltà dalle ragioni ultime del servizio: “l’idea di una Chiesa migliore creata da noi stessi è in verità una proposta del diavolo con la quale vuole allontanarci dal Dio vivo, servendosi di una logica menzognera nella quale caschiamo sin troppo facilmente”[1].

Anche nella nostra Diocesi, come auspicato dal Santo Padre nel citato discorso, stiamo già maturando, grazie alla responsabilità del cammino vissuto, piena consapevolezza della vulnerabilità della Chiesa locale; ma, con senso di comunità, stiamo anche cercando di valorizzare massimamente il bene che già c’è, senza confondere l’abbondante grano con la rada zizzania, proprio per “non spegnere i fuochi che lo Spirito accende nei cuori”[2].

Al fine di rendere contezza di quanto premesso, mutuando le indicazioni per la stesura della sintesi ricevute dalla Segreteria nazionale del Cammino sinodale, si compendieranno di seguito i passi principali svolti in Diocesi nel secondo anno della fase narrativa e saranno altresì evidenziati i frutti più significativi della esperienza vissuta; saranno infine condivise, in conclusione, le priorità emerse e già segnalate in occasione dell’incontro regionale del 27 aprile u.s. 

  • I PASSI COMPIUTI IN DIOCESI

L’esperienza sinodale ha illuminato tutto il cammino della Diocesi già dallo scorso anno. La provocazione dello Spirito Santo è stata innanzitutto accolta e messa a tema nei tre snodi fondamentali che vedono coinvolta e partecipante l’intera comunità: 1) le linee pastorali condivise dall’Arcivescovo in occasione del consueto pellegrinaggio mariano a San Giovanni Rotondo, ogni secondo sabato di settembre; 2) i lavori della Assemblea diocesana; 3) gli incontri della Settimana delle Fede. L’impegno più capillare è stato quindi concretizzato: nel primo anno, attraverso il diffuso ascolto nei gruppi e, nel secondo, mediante l’approfondimento operativo dei cantieri.

La fase narrativa del Cammino sinodale ha evidenziato una totale assonanza tra quanto emerso a livello diocesano ed i punti valorizzati in ambito nazionale.

L’esperienza condivisa durante la fase diocesana del primo anno aveva documentato che “l’incontro con le persone non va vissuto come un corollario, ma come il centro dell’azione pastorale (SNFD[3], p.6). A dispetto di ciò, “più che una casa, la comunità viene pensata come un centro di erogazione di servizi, più o meno organizzato, di cui si fa fatica a cogliere il senso”; mentre “la testimonianza della carità è misura della capacità di aprirsi” (SNFD, p.9). In ambito diocesano, già la Sintesi delle consultazioni aveva peraltro stigmatizzato la adesione passiva e spesso inconsapevole agli incontri degli Organismi ecclesiali di partecipazione, pur apprezzandone l’esistenza significativa.

In ragione di tali premesse, nel tentativo di sperimentare in prima persona la responsabilità della conversione sinodale, il Consiglio Pastorale diocesano è stato chiamato – su impulso della Equipe diocesana – ad essere il motore dei “Cantieri di Betania” sin dall’avvio dell’anno pastorale.

Il metodo della conversazione spirituale ha quindi animato l’Assemblea diocesana del 25 novembre 2022, in cui è stato approfondito, proprio alla luce della icona di Betania, il contenuto delle prime sintesi parrocchiali e vicariali, quale contributo di verifica sulle buone pratiche già riconosciute nelle nostre comunità. Le testimonianze raccolte hanno valorizzato la necessità che le strutture siano poste a servizio della missione e che, come maggiormente sottolineato dai Parroci e dagli operatori Caritas, la cura delle relazioni abbia peculiare attenzione ai bisogni delle persone che vivono particolari forme di disagio ed emarginazione.

È stato riscontrato che nel territorio esisteva già un rodato laboratorio di missione che fa capo principalmente – ma non solo – alla Caritas, a livello diocesano e parrocchiale (Centro notturno per i senza fissa dimora; Banco Alimentare; Mense per i poveri; Assistenza alle persone bisognose, ai minori, ai detenuti e alle loro famiglie; Accoglienza dei migranti e dei profughi; Empori della solidarietà; Sportelli di ascolto; Servizi antiusura, ambulatoriali, di advocacy, di collaborazione alla esecuzione penale esterna; Gruppi estivi ed Oratori). Esso è diventato così un Cantiere di ascolto integrale, per rilanciare gli organismi di partecipazione e, più in generale, orientare le relazioni comunitarie nella corresponsabilità laicale.

Proprio per questo, valorizzandone la portata integrale e trasversale, è stato attivato il Cantiere dell’Ospitalità e della Casa, per l’opera della Caritas ma anche di tutti coloro che, nelle Parrocchie, nelle Confraternite, nelle Associazioni, nei Movimenti laicali e in altre realtà ecclesiali, sono impegnati in esperienze di carità, a livello parrocchiale e diocesano; al fine di verificare, innanzitutto, la domanda di fondo: “come possiamo camminare insieme nella corresponsabilità (della missione)?”.

Il cantiere ha inteso approfondire, proprio attraverso il giudizio sulle attività caritatevoli vissute nella Diocesi, l’effettiva qualità delle relazioni comunitarie. Ciò al fine di verificare:

  • la consapevolezza dell’essere Chiesa-Corpo Misterioso di Cristo incarnato, vissuta in virtù del sacerdozio comune;
  • quanto le strutture siano realmente centrate sulla missione;
  • se gli stessi organismi di partecipazione siano davvero in ascolto e a servizio del bisogno incontrato.

Il cantiere si è quindi articolato, operativamente e sempre seguendo l’apprezzato metodo della “conversazione spirituale”, attraverso il pieno coinvolgimento dei corresponsabili delle attività, degli operatori-volontari e delle persone bisognose incontrate. I frutti di questi diffusi “laboratori sinodali”, attivati mentre si vivevano le esperienze di carità, sono stati quindi condivisi attraverso il coordinamento dei parroci, del Vicario Episcopale per il Laicato, dei Vicari Zonali e del Vicario Episcopale per la Pastorale.

  • L’ESPERIENZA PIÙ SIGNIFICATIVA: IL SIGNIFICATO DELLA ESPERIENZA

C’è innanzitutto un grande merito riconosciuto ed apprezzato nel cammino proposto: l’avvio di un processo che ha messo al centro un metodo, quello del giudizio sulla esperienza, senza il quale la fede perde di attrattiva perché rischia di essere vissuta come qualcosa che non incide sulla vita.  La partecipazione al Cantiere, di tutto il popolo di Dio ma anche dei più lontani e di chi si è definito perfino un “escluso spirituale”, ha per l’appunto confermato, già in questi primi passi del cammino sinodale, che solo l’esperienza è il luogo in cui ciascuno può verificare la proposta di significato per la propria vita.

Si è detto che l’iniziativa del Cantiere della casa e dell’ospitalità ha risposto alle emergenze della prima fase di ascolto:

  • l’incontro come centro della azione pastorale;
  • la testimonianza della carità quale misura della capacità di aprirsi;
  • l’orientamento missionario delle strutture e degli organismi di partecipazione.

La verifica compiuta sulle esperienze di carità, alla luce dei criteri di giudizio offerti dalle domande guida e dalla loro ulteriore declinazione nonché delle esigenze impresse nel cuore di ciascuno, ha documentato che emerge prepotentemente il bisogno di essere “ascoltati”, “guardati”, comunque “accolti” ed “accompagnati” da parte di tutti. Il motivo per cui le persone domandano un aiuto materiale è solo l’occasione per chiedere una condivisione più profonda ed umana della propria fragilità esistenziale.

Questo sottinteso è sorprendentemente anche la chiave che affranca i volontari dal limite delle proprie risposte, di fronte a problematiche che non sempre trovano una risoluzione pragmatica: il lavoro che comunque non c’è; l’età avanzata o l’istruzione precaria per poter trovare occupazione; il tempo da dedicare a volte insufficiente; i volontari che potrebbero essere di più; la difficoltà di interloquire con le istituzioni.

L’esperienza ha dimostrato che l’impeto solitario può anche concretizzarsi in atti di grande, ma estemporanea, generosità; mentre il dono di sé è possibile solo attraverso una comunione vissuta in un luogo che ci educa e corregge. L’iniziale scintilla ha bisogno di un risveglio continuo. Sono gli stessi volontari a chiedere di essere ospitati e di sapersi guardare tra di loro proprio come le persone incontrate reclamano. Per questo ci si accosta con delicatezza anche al dolore, nella discreta condivisione di esperienze.

Il “mettere in comune” sé stessi rende possibile la coralità e la sussidiarietà nella cura di ciascuno, da parte di tutti i gruppi impegnati nelle attività di carità. Cosicché le famiglie bisognose, i disoccupati, gli immigrati, i detenuti, i giovani e tutti i fragili che abitano i nostri condomini o che bussano alle nostre porte possono trovare una Comunità capace di aprirsi e di andare loro incontro, senza censure, attraverso i volti umani di chi vive un identico bisogno e che è anche capace di affidarsi ai compagni di strada nella corresponsabilità della missione.

È in questa dinamica che si disvela il senso profondo della testimonianza della carità. L’impegno personale risponde certamente all’esigenza naturale di interessarci agli altri. La condivisione di questa esperienza nella Chiesa e, per molti, specialmente vivendo i carismi incontrati, ci fa scoprire che non siamo noi a rendere contenti gli altri, ma è un Altro. L’impotenza ultima del nostro sforzo ci fa guardare a Cristo, presente nella Chiesa ora, attraverso la nostra povertà e il nostro attaccamento a Lui: non si tratta di “fare” la carità, ma di “viverla” innanzitutto per imparare a vivere come Cristo, che anziché mandarci ricchezze ha voluto condividere la nostra miseria.

Alla luce di tali esiti l’esperienza più significativa è stata allora quella di aver potuto cogliere il significato stesso della esperienza, quale metodo di verifica della pertinenza della fede alle esigenze della vita.

Il cammino intrapreso ha anche documentato il valore insostituibile della dimensione comunitaria della esperienza, che consente di imbattersi – oggi come duemila anni fa – in una realtà viva e presente, segno del Mistero incarnato.

Per questo, tutte le citate attività caritatevoli compiute nella Diocesi a vari livelli di sussidiarietà,  e trasformate in laboratori di ascolto e di verifica (Centro notturno per i senza fissa dimora; Banco Alimentare; Mense per i poveri; Assistenza alle persone bisognose, ai minori, ai detenuti e alle loro famiglie; Accoglienza dei migranti e dei profughi; Empori della solidarietà; Sportelli di ascolto; Servizi antiusura, ambulatoriali, di advocacy, di collaborazione alla esecuzione penale esterna; Gruppi estivi ed Oratori), meritano di essere segnalate ma soprattutto ancora vissute, valorizzandone maggiormente  la dimensione comunitaria, perché diventino sempre più lievito per la fede e, quindi, per la missione stessa.

Il tentativo di rivitalizzare gli organismi di partecipazione ha fatto registrare non poche resistenze, soprattutto a livello vicariale. Per questo si ritiene opportuno rafforzare gli stimoli alla condivisione, motivando ad una crescente corresponsabilità tutti i componenti del Consiglio Pastorale Diocesano, cosicché il cammino sinodale possa proseguire valorizzando l’impegno missionario della nostra Comunità e di tutte le sue strutture. Aprendo la Casa al Villaggio, si avverte altresì tutta l’urgenza di rafforzare la missione verso le famiglie, la cui condizione denuncia, oggi più che mai, una crisi grave e diffusa: la verifica della proposta cristiana di significato per la vita reclama il banco di prova della quotidianità familiare, spesso svilita dai modelli mondani. In questa prospettiva, si segnalano le positive esperienze conviviali di ascolto e catechesi familiare oltre che di interazione ministeriale, che possono divenire il paradigma ecclesiologico per una concreta sinodalità diffusa.

 Si lavora quindi per favorire e rafforzare una circolarità che innesti sempre vita nuova: la cura della prossimità nella missione per risvegliare, attraverso la verifica comunitaria dell’esperienza, la fede di chi anima le strutture; affinché esse siano più capaci di orientarsi e coordinarsi verso il bisogno incontrato, testimoniando la speranza in Cristo Risorto.

  • CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE: LE PRIORITÀ

La Fase di ascolto esperienziale nel Cantiere attivato in Diocesi ha quindi documentato molto chiaramente che la dimensione della Carità è riconosciuta come il cuore della azione pastorale, in quanto l’incontro tra le persone ed i loro bisogni più profondi apre le porte all’incontro con Cristo e la Sua Chiesa.

Emerge tuttavia, con altrettanta convergenza, una odiosa frattura tra consapevolezza dottrinaria e la prassi ecclesiale della corresponsabilità. La Comunità si sente attraversata da divisioni e concorrenze, pur essendo animata da un forte impegno missionario, che rischia di ridursi ad un fare martarista”.

L’esperienza sinodale è giudicata però come provvidenziale, per avviare un processo di discernimento comunitario capace di scrutare i tempi e proiettare la Chiesa verso i nuovi scenari, nonostante le innegabili inerzie che ne rallentano il passo.

Alla luce di tali evidenze, si apprezzano quindi tre temi prioritari, già condivisi nel consesso regionale:

  1. Testimonianza

L’incontro con l’altro si gioca tutto nella credibilità della testimonianza. Ma, come ricordatoci da Papa Francesco nella Udienza generale del 15 febbraio 2023, “il Vangelo dice che Gesù «ne costituì Dodici – che chiamò apostoli – perché stessero con Lui e per mandarli a predicare» (Mc 3, 14); due cose: perché stessero con lui e mandarli a predicare”. Non c’è quindi “andare” senza “stare”.

  1. Fede

Ecco perché si condivide l’ultimo caveat di Benedetto XVI[4]: al di là degli “slogan del tipo «Chiesa aperta» o «Chiesa chiusa»; piuttosto il profondo divenire la Chiesa una sola cosa, un corpo unico con il Signore, è premessa affinché essa possa con forza portare nel mondo la sua vita e la sua luce”.  Pertanto è urgente la riscoperta della vocazione battesimale e, con essa, la valorizzazione del sacerdozio comune.

  1. Cammino di conversione delle persone e delle strutture

Riprendendo il citato richiamo evangelico di Papa Francesco, “ugualmente non c’è stare senza andare”. L’esperienza della missione fa parte della formazione cristiana e questa passa attraverso un cammino di continua educazione alla fede (per sperimentarne la convenienza umana) di tutte le componenti del popolo di Dio perché si compia la conversione dall’io al noi ecclesiale, a cominciare dal servizio presbiterale.

Taranto, lì 10 Giugno 2023

Adsumus, Sancte Spiritus

 

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[1] Benedetto XVI, Che cos’è il Cristianesimo, Milano, I Ed. 2023, pagg. 157, 159
[2] Papa Francesco, Discorso 25 maggio 2023 ai referenti diocesani Cit.
[3] Sintesi nazionale della fase diocesana
[4] Benedetto XVI, Op. Cit., pagg. 127-128